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La programmazione negoziata:
La nuova strategia
per lo sviluppo e l’occupazione è rappresentata dalla "programmazione
negoziata", un complesso di strumenti ispirati ad un’unica filosofia di
intervento: promuovere e valorizzare il "parternariato sociale" come
fattore in grado di stimolare i processi di sviluppo locale.
La "programmazione negoziata" consiste in nuovi criteri
di intervento introdotti dal legislatore accanto ai tradizionali strumenti
di politica economica, al fine di coordinare l’azione dello Stato e dei
poteri che influiscono nei processi di sviluppo, e di raccordare le
molteplicità di interessi che agiscono a diversa scala territoriale. Il
suo obiettivo primario è quello di creare le condizioni favorevoli per lo
sviluppo economico ed occupazionale.
La definizione di programmazione negoziata è stata
dettata dal decreto legge 8 febbraio 1995 n. 32 (convertito nella legge 7
aprile 1995 n. 104), che la qualificava come: "regolamentazione concordata
tra soggetti pubblici, o tra il soggetto pubblico competente, e la parte o
le parti pubbliche o private, per l’attuazione di interventi diversi,
riferiti ad una unica finalità di sviluppo che richiedono una valutazione
complessiva delle attività di competenza". Essa è stata poi ripresa e
confermata dalla legge 23 dicembre 1996 (collegato alla finanziaria per il
1997) che costituisce, insieme alla Delibera Cipe del 21 marzo 1997,
l’attuale disciplina della programmazione negoziata.
Gli istituti previsti dalle norme sopra richiamate sono
cinque: l’intesa istituzionale di programma, l’accordo di programma
quadro, il patto territoriale, il contratto di programma ed il contratto
d’area. Tuttavia, rappresentando l’accordo di programma quadro la fase
successiva all’intesa istituzionale di programma, di fatto gli strumenti
di intervento della programmazione negoziata sono quattro.
Essi sono applicabili in tutto il territorio
nazionale, e non solo nelle aree depresse. Solo a queste ultime, tuttavia,
sono riservati i fondi destinati dal Cipe ed alcuni importanti snellimenti
procedurali.
L’Intesa istituzionale di
programma consiste nell’accordo tra amministrazione centrale ed
amministrazione regionale o delle province autonome, in virtù del quale
tali soggetti si impegnano a collaborare per realizzare un piano
pluriennale di interventi di interesse comune o funzionalmente collegati,
da programmare sulla base della ricognizione delle risorse finanziarie
disponibili, delle parti interessate e delle procedure amministrative
occorrenti. Essa andrà a costituire l’ordinaria modalità di raccordo tra
programmazione statale e programmmazione regionale, e rappresenta il perno
ed il riferimento programmatico regionale degli altri istituti della
programmazione negoziata: patti territoriali, contratti d’area e contratti
di programma. La fase successiva all’intesa è data dall’Accordo di
programma quadro. Si tratta di un accordo promosso dai sottoscrittori
dell’intesa, e stiplulato con enti locali ed altri soggetti pubblici e
privati, al fine di definire il programma esecutivo degli interventi
oggetto dell’intesa.
Il Contratto di programma è un contratto stipulato
tra amministrazione statale, grandi imprese, consorzi di piccole e medie
imprese, e rappresentanze di distretti industriali, per la realizzazione
di iniziative atte a generare significative ricadute occupazionali, anche
riferibili ad attività di ricerca e di servizio a gestione consortile.
Il Contratto d’area è uno strumento operativo
concordato tra amministrazioni, anche locali, rappresentanze dei
lavoratori e dei datori di lavoro, ed eventuali altri soggetti
interessati, per realizzare azioni finalizzate ad accelerare lo sviluppo e
creare nuova occupazione in territori circoscritti. Le sue finalità
prioritarie consistono quindi nella realizzazione di un ambiente economico
favorevole ad attirare iniziative imprenditoriali, e nella creazione di
nuova occupazione mediante lo stimolo agli investimenti. Questo istituto
costituisce in realtà un’evoluzione dello strumento del patto
territoriale, dal quale differisce principalmente per la possibilità di
concentrare gli investimenti in aree più limitate e su iniziative
imprenditoriali di minore portata, per l’esclusiva utilizzabilità in zone
colpite da gravi crisi occupazionali, e per il maggiore finanziamento
erogabile dal Cipe.
Fra i diversi istituti della programmazione negoziata
l’elemento di maggiore interesse è indubbiamente rappresentato dal
Patto Territoriale, che si è rivelato uno strumento particolarmente
idoneo per interventi integrati a livello sub-regionale diretti ad
affrontare in modo efficace i problemi dello sviluppo e
dell’occupazione.
Riferimenti
normativi:
I
patti territoriali nascono come idea e prima definizione non
legislativa nel 1991 su iniziativa del CNEL che istituirà poi,
nel novembre 1994, la "Consulta per il Mezzogiorno",
un comitato composto da 72 membri incaricato anche della
promozione di tale istituto quale strumento finalizzato allo
sviluppo dell’economia e della società meridionale. Essi
entrano nel contesto normativo italiano con la legge 8 agosto
1995 che converte il decreto-legge 23 giugno 1995 n° 244 ed
inserisce i patti territoriali tra gli istituti della
programmazione negoziata, demandandone al Cipe il potere di
indirizzo e di approvazione.
Il
Cipe regolamenta l’istituto con la Delibera del 10 maggio 1995,
ne specifica il contenuto, la procedura, gli effetti, i soggetti
coinvolti, ed affida al Ministero del Bilancio il compito di
formulare una proposta di coordinamento tra i vari istituti della
programmazione negoziata. La proposta redatta dal Ministero viene
approvata dal Cipe con la Delibera del 20 novembre 1995 che,
inoltre, ridefinisce il patto territoriale, ne determina i
contenuti obbligatori e ne prevede una certificazione da parte
della Regione relativamente alla compatibilità con gli altri
strumenti di programmazione.
In
seguito, la legge 28 dicembre 1995 n. 549, di accompagnamento alla
finanziaria per il 1996, riserva ai patti territoriali 400
miliardi a valere sui fondi per le aree depresse ed affida al Cipe
l’attribuzione delle risorse. Conseguentemente il Cipe adotta la
Delibera 12 luglio 1996 che integra le disposizioni delle due
precedenti e detta ulteriori criteri, vincoli e procedure per la
realizzazione dei patti territoriali. Le principali disposizioni
introdotte concernono l’individuazione dell’ordine cronologico
di ricevimento dei patti da parte del Ministero del Bilancio come
criterio di priorità per l’approvazione, e di vincoli come
l’entità delle risorse pubbliche a disposizione per ciascun
patto (100 miliardi di lire), la quota massima riservata agli
investimenti infrastrutturali (il cui costo non può eccedere il
30% di quello degli investimenti produttivi), il rispetto per le
agevolazioni alle attività produttive dei parametri fissati dalla
legge 488/92, il limite minimo del 30% dell’investimento per la
quota dei mezzi propri delle iniziative imprenditoriali, la
realizzazione degli interventi entro 48 mesi. Viene inoltre
individuata una procedura integrativa di quella indicata nella
Delibera Cipe del 10 maggio 1995, con una forte presenza nella
fase preparatoria ed istruttoria del CNEL, che dispone, di
conseguenza, un percorso di accompagnamento, sviluppato nella
Relazione del 3 ottobre 1996.
Con
la legge 23 dicembre 1996 n° 662, collegata alla finanziaria per
il 1997, il legislatore detta una nuova disciplina della
programmazione negoziata, abrogando gran parte delle precedenti
disposizioni di rango primario, e demandando la definizione delle
relative norme attuative al Cipe che provvede adottando la
Delibera del 21 marzo 1997. Il combinato disposto della legge e
della delibera fa caducare, relativamente ai patti territoriali,
non solo le precedenti disposizioni normative primarie, ma anche
gran parte di quelle contenute nelle precedenti delibera Cipe, e
ne va costituire l’attuale disciplina.
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